IL DECRETO SICUREZZA E I MIGRANTI: “UN VUOTO A PERDERE”

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IL DECRETO SICUREZZA E I MIGRANTI: “UN VUOTO A PERDERE”

Il Presidente della Repubblica ha firmato il Decreto sicurezza n. 1/2023, l’ennesimo che affronta il fenomeno dell’immigrazione che proviene dall’Africa via mare. In un precedente caso il Presidente era tornato sui suoi passi chiedendo al governo “giallo-rosso” di porre rimedio al Decreto Sicurezza del primo governo Conte (2018), fortemente voluto dalla Lega ma con diverse “omissioni” di rilievo costituzionale. Proprio quella Costituzione che ha compiuto da pochi giorni 75 anni ed è stata opportunamente citata dal capo dello Stato nel suo discorso di fine anno come faro per i cittadini (compresi i referenti politici). Qualche problema non da poco riguarda anche quest’ultimo “decreto sicurezza”. Esso è dettato da una vetero-visione emergenziale del fenomeno (“decretazione d’urgenza”!), privo di una piattaforma minima di politiche migratorie in grado di produrre soluzioni utili per i migranti e per il nostro Paese. Inoltre è manifestamente orientato a disciplinare un aspetto parziale del fenomeno dato che lo scopo è quello di limitare l’attività in mare delle navi umanitarie delle ONG e quindi rendere più difficile il salvataggio di profughi e rifugiati e quindi ancora più rischiosa la traversata del Mediterraneo. E’ evidente che “si vuol far credere che le navi ONG siano un fattore di attrazione dell’immigrazione”[1], e che operino in sinergia con gli scafisti, come alcuni politici della maggioranza hanno insinuato.

Condividiamo nella sostanza la critica del presidente della Fondazione Migrantes, Mons. Perego al decreto: si tratta di un “testo costruito sul nulla”[2]. Perché sul nulla? Perché non vi sono né ragioni urgenti né nuove situazioni che lo giustificano e non apporta alcun miglioramento rispetto alla gestione del fenomeno, salvo mettersi di traverso rispetto alla vigente legislazione internazionale. E ovviamente rinverdire un’idea populista della insicurezza per i “confini della Patria” per l’arrivo migranti “irregolari” che non possono essere che “clandestini” mancando ogni altra forma di accesso regolamentata al nostro Paese. Ma tant’è siamo sempre nella scia di una politica che parla alla pancia dei cittadini riaffermando paure e pregiudizi e che di riflesso ha poi dei contraccolpi negativi sull’accoglienza.

Veniamo allora cosa dice il decreto, le prescrizioni previste e le contestazioni fatte a queste norme:

1) “la nave che effettua sistematicamente attività di ricerca e soccorso deve avere le autorizzazioni rilasciate dalle autorità dello Stato di bandiera e possedere i requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione”. Fatto! Niente di nuovo circa i requisiti, necessari e già garantiti dalle Ong;

2) “le operazioni di soccorso devono essere immediatamente comunicate al Centro di coordinamento per il soccorso marittimo dello Stato nella cui area SaR[3] di competenza ha avuto luogo l’evento e allo Stato di bandiera della nave”. Quello che si sa è che le navi umanitarie forniscono sempre informative precise delle operazioni di soccorso a tali Centri. Secondo i giuristi dell’ASGI il problema “nella prassi è esattamente l’inverso, cioè sono proprio i Centri che non rispondono tempestivamente alle richieste di avere un porto sicuro o si rimpallano l’un l’altro le competenze, lasciando le navi per molti giorni in mare in attesa del porto con le persone soccorse a bordo”[4];

3) si stabilisce che il porto di sbarco assegnato venga raggiunto dalle navi ONG “senza ritardo” e che “le modalità di soccorso non impediscano di raggiungerlo tempestivamente”. Tale prescrizione sottende la volontà di costringere le navi a non soccorrere persone a rischio di naufragio diverse da quelle già soccorse, così come vieta che le persone soccorse siano trasbordate da una nave umanitaria all’altra per consentire a una di esse di tornare a cercare persone in pericolo mettendone a rischio la vita. Quest’ultima disposizione che intende stoppare i “soccorsi plurimi”, non potrà mai essere applicata dato che le norme internazionali stabiliscono che “qualora il comandante della nave che già ha prestato un primo soccorso venga a conoscenza di una ulteriore situazione di pericolo dovrà sempre dirigersi verso la zona e prestare assistenza in ossequio all’obbligo inderogabile di soccorso previsto dal diritto internazionale consuetudinario e pattizio e dal diritto interno”. La normativa internazionale è di inequivocabile su questo punto: “non ci può essere alcun margine di scelta da parte del/della comandante di qualsiasi nave a effettuare anche diversi soccorsi qualora nel corso della propria navigazione intercetti più situazioni di pericolo”;

4) la prescrizione secondo cui devono essere “avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità”. Su questo non vi sono dubbi che la competenza all’esame di domande di protezione internazionale non spetti allo Stato di pertinenza della nave di soccorso. Anche nel caso di una nave Ong di bandiera italiana “la preparazione professionale delle varie autorità competenti in materia di protezione internazionale non appartiene certamente a chi comanda una nave, a cui dunque non può essere affidata la ricezione di domande di protezione internazionale che richiedono il rispetto di precise procedure amministrative” (ASGI). Su questa linea è anche con la disciplina di settore dell’Unione Europea in materia di protezione internazionale;

5) un’ultima pretesa del Decreto è che le autorità italiane possano indicare lo sbarco in un porto sicuro italiano che si trovi in zona molto lontana dall’area in cui è avvenuto il soccorso. Come già sta avvenendo dato che queste navi sono costrette a prolungare di 1500 o 2000 chilometri la loro destinazione rispetto ai numerosi porti del Sud d’Italia per attraccare a Rimini o ad Ancona, prolungando il viaggio di 4 o 5 giorni con disagi e costi per passeggeri ed equipaggi. E’ evidente l’intento di rallentare l’operato di queste navi che sono impegnate in un’azione di soccorso e non in un servizio di crociera. Anche questa prescrizione va contro la Convenzione SOLAS che “impone agli Stati di cooperare affinché i comandanti delle navi che hanno prestato soccorso imbarcando persone in pericolo in mare siano liberati dal loro impegno con la minima deviazione possibile dalla rotta originariamente prevista”. Così la Risoluzione MSC 167(78) del 20 maggio 2004 precisa che “una nave non dovrebbe essere soggetta a ritardi ingiustificati, oneri finanziari o altre difficoltà dopo aver prestato assistenza alle persone in mare; pertanto gli Stati costieri dovrebbero sollevare la nave non appena possibile”.

Quindi alla fine cosa rimane attuabile del Decreto? Quasi nulla perché da una parte contiene disposizioni che non migliorano la gestione del soccorso umanitario rispetto alle operazioni già imposte e regolamentate dal diritto internazionale, mentre tende piuttosto ad ostacolare le operazioni di soccorso.

Un’ultima considerazione. Ci saremmo aspettati una chiara e forte mozione di solidarietà a difesa delle ONG da parte del Forum Permanente del Terzo Settore che, come organismo rappresentativo del mondo delle solidarietà, dovrebbe tutelare finalità e missione di questa sua importante componente, peraltro riconosciuta dalla legislazione sociale sugli enti di Terzo settore. Invece il Forum si è rivelato ancora una volta prono rispetto alle decisioni governative che vanno a contrastare il comportamento di chi opera con sensibilità e umanità nel Terzo settore.

di Renato Frisanco

[1] Intervista a Armando Spataro, figura eminente di procuratore capo che ha portato a termine alcune delle più scottanti inchieste sul terrorismo e la criminalità internazionale, comprese le violazioni dei diritti umani commesse dai servizi segreti occidentali. Cfr. di N. Scavo, Ong di nuovo in mare, dopo la stretta. Spataro:”Ora disobbedienza civile”, ‘Avvenire’, 30.12.2022.

[2] Cfr. di D. Mottas, “Il decreto? Cadrà”, ‘Avvenire, 30.12.2022.

[3] Ogni Paese stabilisce la propria “zona SAR” (“Search and Rescue”), nella cui area di competenza è tenuto a prestare soccorso.

[4] Cfr. di Eleonora Camilli, Soccorso in mare, tutte le criticità del nuovo “Decreto Ong”, Redattore Sociale 5.1.2023. L’autrice riporta le valutazioni fatte dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione – ASGI.

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