Il pensiero bianco-Non si nasce bianchi lo si diventa, di Lilian Thuram (2021)
Il pensiero bianco-Non si nasce bianchi lo si diventa, di Lilian Thuram, ADD Editore, 2021, pagine 283, bibliografia con 134 riferimenti e indice dei nomi.
Il testo di Lilian Thuram riporta la prospettiva di un non bianco sul pensiero dei bianchi, affrontando quest’ultimo da un punto di vista storico, culturale e, più ampiamente, nella sua dimensione umana. Non si tratta di condannare tout court i bianchi: il pensiero bianco non è infatti il pensiero dei bianchi. Piuttosto è un invito ai bianchi a sposare una concezione dell’identità fondata sull’umanità e non sulle differenze razziali. Thuram è convinto che cambiare mentalità si può e si deve, liberandosi dell’indifferenza che rende complici di quel razzismo, tipico del pensiero bianco, solo apparentemente inesistente ma ancora presente.
Il volume è diviso in tre parti principali: la storia, l’identità e peculiarità del pensiero bianco e infine l’essenza umana, che deve guidare un nuovo approccio all’altro.
LA STORIA
Partendo dal presupposto secondo cui non si nasce bianchi, lo si diventa perché il bianco più che un colore della pelle è un pensiero, l’autore parte dall’antichità del mondo greco romano per analizzare accuratamente nei secoli il dominio del pensiero bianco. Un dominio che trova le sue radici nel desiderio di arricchimento, comune a tutte le epoche storiche eppure mascherato a seconda dei tempi da motivazioni etiche ed educative così come da rivendicazioni di superiorità prive di fondamento scientifico. Thuram si sofferma in particolare su alcune specifiche fasi storiche come il periodo greco-romano in cui la schiavitù era comunemente accettata. Poi si sofferma sulla scoperta dell’America nel XV secolo e il suo sfruttamento da parte dei conquistadores, accecati dalla smania di possesso coperta dalla presunta inferiorità degli indigeni e dalla necessità di educarli e civilizzarli. Anche ricorrendo all’imposizione della religione cristiana per legittimare il loro dominio sul continente americano. E ancora la tratta dei neri e la schiavitù tra il XV e XIX secolo, indicando il fenomeno come non solo ristretto ai neri: a questo proposito nell’XI secolo in Occidente in Irlanda esisteva un ricco e fiorente mercato di schiavi bianchi come anche tra i vichinghi che praticavano la schiavitù contro gli europei.
Passando all’epoca dei lumi, il XVIII secolo, Thuram riconosce come i maggiori esponenti dell’illuminismo accettassero la tratta degli schiavi e addirittura ne fossero promotori (Colbert ad esempio). Eppure non li giustifica, definendoli “figli del loro tempo”: qualche secolo prima infatti alcuni pensatori avevano condannato la schiavitù finendo volutamente nel dimenticatoio.
Neanche la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino, frutto delle conquiste della Rivoluzione francese, servì a estirpare il fenomeno che rimase nelle colonie fino alla Seconda guerra mondiale, quando fu avviato un processo graduale di decolonizzazione.
La colonizzazione, mascherata ancora una volta dalla scienza, continuò negli anni seguenti con i riferimenti a una presunta inferiorità biologica e psicologica sostenute dalla scienza delle razze nel XIX secolo, ulteriore scusa per giustificare la violenza, la dominazione economica dei bianchi.
La colonizzazione continua tuttora sebbene sotto altre forme: dominio finanziario, sfruttamento delle risorse naturali e minerarie e dei corpi con pratiche di sterilizzazione forzata per contenere la crescita della popolazione, percepita con timore, come un’invasione che, tuttavia, razionalmente è del tutto ingiustificata.
ESSERE BIANCHI
Nell’analizzare cosa significa essere bianchi l’autore fa riferimento ad alcune caratteristiche come la difesa del territorio dall’altro nel timore che la superiorità numerica dei non bianchi porti alla sottrazione del potere ai bianchi, la paura della contaminazione da parte dei non bianchi e una discriminazione costante, spesso non esplicita, che equipara la condizione di questi a quella delle donne.
Nel trattare del pensiero bianco Thuram racconta come la sua superiorità sia stata interiorizzata anche dalle vittime, da chi bianco non è, fino ad essere percepita come qualcosa di “normale”: si consideri il concetto di bellezza, all’aspetto fisico di Dio, sempre associati al colore bianco. Si tratta del risultato di un razzismo istituzionalizzato che dal passato continua sino ai giorni nostri che vive nella discriminazione quotidiana nelle scuole, negli ospedali, nel contatto con i rappresentanti dell’autorità (polizia), sopportata e accettata dai non bianchi. Essere bianchi è praticare un universalismo inteso come predominio di un unico set di valori a detrimento della pluralità che non è altro che fonte di ricchezza, contro comunitarismo percepito negativamente non come spirito identitario di una comunità, ma settarismo e riconosciuto solo ai non bianchi.
Per superare falsi miti e differenze ininfluenti l’autore indica come unica via percorribile lo sviluppo di una coscienza comune che includa anziché escludere, basata sull’interazione e lo scambio alla pari tra bianchi e non bianchi per superare i pregiudizi, anche quelli inconsci.
La distinzione e la conseguente discriminazione, come nel caso delle donne, ha ragioni politiche non di mentalità e come tale va affrontata: ricorrendo a dati scientifici, statistiche per dar voce e diritti a chi non ne ha.
ESSERE UMANI
Nella terza e ultima parte l’autore indica come strada verso la libertà l’abbandono dei condizionamenti legati a razza, sesso, religione e altre differenze. Operazione non semplice ma che, nonostante richieda impegno è possibile, anzi doverosa. Auspica un “suicidio della razza” per liberarsi delle identità di colore, togliersi la maschera e smettere di essere neutrali e indifferenti di fronte alle ingiustizie. Prendendo coscienza del mondo in cui si vive, un mondo fatto per larga parte di non bianchi. Perché una autentica e profonda trasformazione della società si consegue solo con l‘uguaglianza razziale.
Thuram invita anche a smettere di difendere e applicare una concezione materialista e utilitaristica alla realtà, competitiva, irrispettosa dei diversi e dei deboli. Un approccio tutt’altro che umano, che vuole imporre il dominio non solo sulle persone ma anche sulla natura, considerandola una proprietà e altro da noi. Invita ad abbandonare questa concezione tipica del pensiero bianco per cui l’ambiente (incluse le specie vegetali e animali) è altro dall’uomo e a difendere l’identità umana in modo inclusivo. Andando persino oltre, richiamando una condizione umana che diventa condizione terrestre inclusiva di noi esseri umani, degli esseri viventi con cui coabitiamo e dell’ambiente in cui viviamo.
Frase emblematica: ” Il pensiero bianco non è il pensiero dei bianchi”.
In conclusione: La libertà non si regala, si conquista. E ciò vale anche per il pensiero bianco che da secoli ha ispirato le politiche di arricchimento di sopraffazione e di dominio sugli altri. La libertà dai condizionamenti da cui siamo chiusi nella consapevolezza che non è facile ma è possibile cambiare.
di Pamela Preschern
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